Silvia non ha scritto l’ennesima guida all’espatrio in Catalunya, e ne sono felice. Questo è il tipo di post che mi piace leggere: personale, sentito, emotivo. Scoprire Barcellona attraverso Silvia è un po’ come scoprire noi stessi. Ci si ritrova nelle sue parole, anche se a una latitudine diversa. E si finisce a sperare che quello tra Silvia e Barcellona sia davvero un arrivederci. Anche solo per poter leggere il seguito.
Barcellona è una città così gettonata sia dai turisti sia dai tanti italiani expat che già esistono tantissimi articoli, pagine di blog e racconti di quante siano le bellezze che si possono visitare e di come sia vivere per breve o lungo periodo in Catalunya.
Per questo motivo non voglio fare di questo articolo una guida turistica (pressoché inutile e di cui sicuramente esisterebbe una versione migliore), ma piuttosto di raccontare me attraverso Barcellona, e Barcellona attraverso di me.
Partiamo dall’inizio, dal primo incontro. Sono una persona solare, aperta, allegra, innamorata delle stagioni calde e, soprattutto, una viaggiatrice. Mi piace partire, scoprire posti nuovi e conoscerne le abitudini facendo esperienza della gente. Per questo a Barcellona sono venuta per la prima volta nel 2014, da turista, ma in un periodo propizio per evitare l’assalto: fine ottobre, 4 giorni infrasettimanali.
Perfetto per lasciarsi incantare perchè, accanto alle magnifiche opere che ogni turista frequenta, ho avuto il tempo per scoprire le vie strette del barrio gotico senza impazzire tra la folla, sono stata al Parco del Guinardo per ammirare il panorama da un posticino poco affollato, ho passeggiato per il Montjuic in una mattinata autunnale e sono stata alla Barceloneta in costume senza dover combattere per guadagnare mezzo metro di sabbia (cosa che non ho comunque più fatto, tranquilli). Ed ogni mattina che mi sono svegliata lì ho pensato “Qui si che mi ci vivrei, qui si che mi piacerebbe svegliarmi ogni mattina, almeno per un po’!”.
A quel tempo stavo studiando matematica e nel giro di un mese mi sarei laureata triennale ed avrei iniziato la magistrale a Verona. Ed ecco, nel giro di tre mesi ci comunicano che è pronto il bando Erasmus ed una delle sedi è proprio Barcellona. E per di più gli esami proposti e le opzioni per preparare la tesi combaciano alla perfezione con i miei interessi. Quindi, tra sconcerto generale di amici, famiglia e fidanzato, decido di andare. La miglior decisione della mia vita universitaria. Di lì a un anno, a Febbraio 2016, sarei partita per il ritorno a Barcellona. Piena di emozione. In preda all’adrenalina. Senza sapere una parola di spagnolo, fatta eccezione per quelle di fama internazionale e qualche termine preso random dai tormentoni estivi.
Barcellona mi ha incantato dalla prima volta, ma tornarci è stato decisamente più intenso.
Sarà che la mia coinquilina spagnola con l’inglese non era proprio a suo agio, sarà che ero l’unica erasmus nel mio corso (eh, studiare matematica!!), sarà che di italiana ne ho frequentata realmente solo una in sei mesi e conoscendo lo spagnolo mi aiutava ad imparare, ma in tre mesi già masticavo una lingua nuova. Di cui mi sono perdutamente innamorata. Ed è proprio vero che quando riesci ad esprimerti nella lingua del posto riesci a entrare anche nella cultura, nelle abitudini, nei modi di fare della gente.
Questo passaggio in me è avvenuto forse ancor più quando, terminato l’Erasmus e tornata a Verona, ho deciso di partire di nuovo per Barcellona, a distanza di pochi mesi e per un anno: prima un internship, poi un contratto di lavoro.
Poco a poco mi sono sentita sempre più a mio agio, sempre più a casa, sempre più inserita in questa città che è grande ma allo stesso tempo non troppo. E soprattutto, ho trovato una dimensione mia. Perchè, si sa, con l’Erasmus tutto sembra bellissimo perchè anche nel momento più palloso c’è sempre qualcuno del tuo gruppo che uscirà per bere una birra o andare in spiaggia o vedere un film. Ma quando si tratta di lavoro, seppur in ambito di ricerca e quindi in un ambiente giovane, quando si tratta di persone inserite nel loro contesto e con i loro amici, allora devi tenere in considerazione anche di dover passare qualche pomeriggio o giornata da sola, iscriverti ad un corso o andare al museo in solitaria.
E così, ho trovato una dimensione mia nelle lunghe passeggiate di riflessione sul montjuic, nei pomeriggi girovagando per i mercatini dell’usato, nelle giornate di porte aperte o eventi gratuiti che sempre mi piace scovare. E vivere questo mi ha aiutata a capire quanto avevo bisogno di conoscere Barcellona, perchè ora so che ho un posto nel mondo in cui svegliarmi ha senso non per le le cose che ho o le persone che ci sono nella mia vita, ma in primis per me.
Perché svegliarsi con un sorriso vale davvero molto. Poi che le persone siano la ricchezza più grande, verissimo. Le amicizie strette in questo anno e mezzo sono tante e di vario tipo, ma quelle che restano, quelle vere, me le porterò nel cuore e sono certa che i km non cambieranno l’affetto e la stima reciproca, che sempre ci saranno delle porte aperte dove rifugiarsi e bere una clara o un vermut.
Ora sto scrivendo in procinto di salutare Barcellona per un periodo che non ha una data di scadenza: non so quando passero’ di nuovo di qui. Ora vado a Bordeaux, Francia, ad iniziare la nuova avventura del dottorato. E sono felice di questa nuova sfida, anche se naturalmente il saluto a Barcellona dopo quasi due anni è abbastanza intenso. Mi mancherà parlare in spagnolo, andare ai concerti di rumba catalana e ballare fino a mattina, andare in spiaggia almeno una volta a settimana da maggio a settembre, le birrette dopo lavoro nel solito bar. Mi mancherà una cultura e uno stile di vita che porta a vedere la gente passare più tempo fuori che in casa, bambini giocare nelle piazzette mentre i genitori chiacchierano nelle terrazze dei bar, pomeriggi che in un attimo diventano sere, e tanto altro.
Però so che me ne vado al momento giusto, nel pieno dell’emozione e consapevole che ho fatto la scelta migliore della mia vita venendo qui. Partire non è mai facile, non farlo avrebbe evitato discussioni con mia mamma e distanze con le amiche. Ma sarebbe stato peggio. Perchè avere un posto dove saper di poter tornare per ricaricarmi scalda davvero il cuore. Anche se la cosa piu’ importante che mi lascia Barcellona e’ un’altra: parto con la consapevolezza che l’importante a Bordeaux sara’ trovare la mia dimensione, come mi ha insegnato l’esperienza spagnola, poco a poco, senza fretta ma con tanta positivita’.
Mi piace pensare che questo non sia un addio, quindi… Fins aviat Barcelona!
Silvia, Barcellona
In bocca al lupo, Silvia! Che bello leggere di Barcellona in questo post, mi ci riconosco molto. E la riconosco così diversa dai racconti delle guide turistiche o dei travel blog mordi e fuggi 🙂 Barcelona enamora soprattutto quando ci vivi lentamente, è l’unico modo per uscire dalla impressione di “luna park” in cui ci si sente quando se ne visitano le zone più turistiche.
Rispondo con un ritardo stratosferico a questo commento. Hai ragione: vivere lentamente Barcellona e’ il modo giusto per innamorarsene, per lasciarsi cullare da uno stile di vita che prende, meraviglia e ti motiva, sempre. Ho scritto questo post due anni fa e regolarmente me lo rileggo quando mi sento giu’. E, ogni volta, sono grata per aver trovato il mio porto sicuro. Ancora valido dopo due anni.
[…] Scopri la mia esperienza da expat a Barcellona nell’articolo che ho scritto per il blog Amiche di Fuso. […]